Un’indagine sulla vita e sull’eredità civile, scientifica e morale di una donna italiana che ha dato voce alle stelle e alla coscienza di un Paese.
La scienziata che ha fatto della conoscenza un atto di democrazia
Margherita Hack non è stata solo un’astrofisica di fama internazionale. È stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, trasformando quello di Trieste, nel 1964, da una struttura marginale a un punto di riferimento della ricerca europea. Era una posizione che fino ad allora nessuna donna aveva mai occupato nel nostro Paese. Ma questo risultato non fu il traguardo: fu il punto di partenza.
Formatasi all’Università di Firenze – dove si laureò in Fisica nel 1945 con una tesi sulle variabili cefeidi – Hack comprese fin da subito che la scienza, per essere autentica, doveva uscire dai laboratori e raggiungere il pubblico. Lontana dal linguaggio accademico, portò l’astrofisica in televisione, nei licei, nelle librerie, con una chiarezza rara. “Un buco nero non è un buco, e non è nero”, amava dire con ironia, per spiegare ai più giovani l’enigma cosmico.
Scrisse decine di libri divulgativi, fu autrice di oltre 250 articoli scientifici su riviste internazionali, ma ciò che la distingueva era la capacità di rendere il sapere inclusivo, accessibile, umano. La scienza, per lei, non era solo misurazione e rigore, ma un dovere etico, una lente per capire il mondo, smascherarne le menzogne e costruire una società più consapevole.
Hack credeva nella libertà della ricerca, ma anche nel suo controllo etico. Si schierò apertamente contro l’uso militare della scienza, contro le privatizzazioni dell’università pubblica, e fu una voce critica contro ogni strumentalizzazione politica della cultura. “La scienza deve servire a migliorare la vita delle persone, non a renderle più controllabili”, affermava.
La femminista pragmatica: diritti, parità, corpo
In un’Italia ancora scettica verso le donne nelle STEM, Hack divenne, suo malgrado, un simbolo del femminismo concreto: mai ideologico, sempre agito. Non amava essere etichettata, ma ha incarnato l’autonomia femminile nella sua forma più radicale: mentale, professionale, civile.
Fu una pioniera dell’equità di genere quando non era né popolare né conveniente esserlo. Non rivendicava posti per sé, ma per tutte quelle donne escluse a priori, per mancanza di fiducia o di opportunità. “In fisica, una donna deve valere il doppio per essere considerata la metà”, osservava con amara lucidità.
Combatté per il diritto all’aborto, per il divorzio, per la laicità delle istituzioni, per la parità salariale, e soprattutto per la libertà di scegliere. Scelse di non avere figli – “Non ne sentivo il bisogno” – e ne rivendicò il diritto senza giustificazioni. Parlava del proprio ateismo con fermezza, non come provocazione, ma come affermazione di libertà: “Non ho bisogno di un dio per avere una morale”.
Il suo contributo alla causa femminile non fu retorico, fu di esempio vivente: una donna che aveva scelto la scienza, la verità, la solitudine del pensiero libero, e che non aveva mai avuto paura di pagare il prezzo delle sue idee.
L’eredità per chi oggi cerca una bussola
Margherita Hack è morta il 29 giugno 2013, ma il suo pensiero è più vivo che mai. In una società che oscilla tra post-verità e tecnofobia, la sua figura emerge come un faro per le nuove generazioni. Non solo per le ragazze che si avvicinano alle scienze, ma per chiunque cerchi coerenza, libertà intellettuale e spirito critico.
Nel mondo contemporaneo, in cui le disuguaglianze di genere persistono nelle università e nei laboratori, Hack rappresenta un modello possibile e replicabile. Il suo coraggio nel dire “no”, la sua capacità di mettere in discussione l’autorità, la sua lucidità nel denunciare ingiustizie, sono strumenti educativi ancora necessari.
Nelle sue ultime interviste parlava ai giovani senza indulgenza: “Studiate, siate curiosi, pensate con la vostra testa. Non fatevi fregare dalle ideologie confezionate”. Per questo, oggi, il suo volto continua ad apparire sui murales, nelle scuole, nelle campagne per le STEM, nelle biblioteche e nei podcast.
La sua è un’eredità che vive nel dubbio, non nella certezza. Che non chiede di essere imitata, ma compresa. Che continua a dire, con voce chiara: “La libertà non è un premio, è una responsabilità.”
Una stella nel cielo della coscienza civile
In un’Italia che ancora fatica a riconoscere le sue grandi donne come patrimonio culturale collettivo, Margherita Hack è un’eccezione che può fare scuola. È stata la scienziata che parlava alle stelle, ma anche la cittadina che parlava al cuore della Repubblica.
Non solo ha osservato il cosmo: ha aiutato milioni di persone a guardare dentro di sé con onestà. Per questo, oggi, non è solo una figura da ricordare, ma una voce da rileggere. Con più attenzione. E con più gratitudine.