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Tuesday, July 15, 2025

Dalla mimosa alla militanza: la storia del femminismo italiano

NotizieDalla mimosa alla militanza: la storia del femminismo italiano

Quando si parla di femminismo in Italia, spesso si riduce tutto a qualche slogan anni ‘70, una manciata di foto in bianco e nero e un mazzo di mimose regalate l’8 marzo. Ma il femminismo italiano è molto più complesso. È fatto di battaglie concrete, conquiste legislative, ma anche di divisioni, nuove ondate e domande ancora aperte. Ed è una storia che continua, anche oggi.

Le origini: voto e diritti civili

Il punto di partenza simbolico è il 1946: le donne italiane votano per la prima volta. Ma la strada era iniziata prima, grazie alle suffragette, alle partigiane, alle lavoratrici che avevano lottato in silenzio. Negli anni ’50 e ’60, le donne entrano nel mondo del lavoro salariato, ma restano relegate a ruoli marginali. La maternità è quasi un destino biologico. Il matrimonio, spesso, una trappola giuridica.

Gli anni ’70: il femminismo come rivoluzione sociale

È qui che arriva l’onda vera. Il femminismo italiano degli anni ’70 non è solo un’imitazione di quello americano o francese. È un movimento profondo, capillare, spesso autonomo dai partiti. Le donne occupano consultori, fondano collettivi, riviste, gruppi di autocoscienza. Non si parla solo di aborto o divorzio: si parla di corpo, di piacere, di linguaggio, di potere domestico.
Nel 1970 arriva il divorzio, nel 1975 la riforma del diritto di famiglia, nel 1978 la legge sull’aborto. Tutte conquiste ottenute lottando, con una militanza che non chiedeva il permesso.

Gli anni ’80-’90: il femminismo si frammenta (ma non scompare)

In molti li definiscono “anni silenziosi”. Ma in realtà il femminismo cambia forma. Entra nelle istituzioni, si fa accademico, si infila nei centri antiviolenza, nei tribunali, nella pedagogia. Alcune femministe parlano di differenza di genere, altre di uguaglianza. Alcune lavorano su diritti civili, altre su linguaggio o simbolico.
Non c’è più una voce unica, ma mille sfumature.

Oggi: il femminismo è ovunque (anche se nessuno lo chiama così)

Negli ultimi dieci anni, il femminismo è tornato. Ma è diverso. È fatto di attivismo digitale, campagne virali, manifestazioni intersezionali. Non Una di Meno, il movimento transfemminista nato nel 2016, ha portato in piazza migliaia di donne, persone LGBTQIA+, studenti, migranti.
Si parla di patriarcato, ma anche di razzismo, di salute mentale, di diritto all’abitare. Il femminismo italiano oggi è fluido, giovane, arrabbiato, affettuoso. E parla con linguaggi nuovi: meme, podcast, assemblee, reel.

Ma serve ancora?

Sì. Perché i femminicidi non si fermano. Perché le donne guadagnano meno. Perché le madri single fanno i salti mortali. Perché le discriminazioni sono ovunque, anche nei posti che si dicono “progressisti”. E perché ogni volta che una donna dice la verità su di sé, rompe qualcosa. E crea spazio per tutte le altre.

Il femminismo italiano non è mai stato perfetto. Ma è stato, ed è, necessario.
E la sua storia non è finita. Siamo ancora tutte, tutti, nel mezzo.

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