Siamo davvero sicuri che il pesce che mangiamo sia italiano? O che sia stato pescato in acque controllate, lavorato in modo sostenibile, tracciato lungo ogni passaggio della filiera?
Dietro ai banchi del pesce nei supermercati, nelle pescherie e nei ristoranti di tutta Italia, si cela una giungla di dati parziali, dichiarazioni opache e documenti facilmente manipolabili, che mettono a rischio non solo la salute del consumatore, ma anche la credibilità dell’intero settore ittico nazionale.
Nel mirino: etichette ambigue, pesce decongelato venduto come fresco, prodotti d’importazione spacciati per nostrani, e soprattutto, un sistema di tracciabilità antiquato, che si regge ancora su autodichiarazioni prive di veri controlli indipendenti.
Il pesce parla, ma chi ascolta?
Nel settore ittico, la tracciabilità è obbligatoria. Sulla carta, ogni prodotto dovrebbe indicare la zona FAO di cattura, la data, il metodo di pesca, il nome scientifico della specie, e via dicendo. Ma nel concreto?
Basta un documento cartaceo compilato male – o furbamente – per trasformare un pangasio asiatico in “filetto bianco del Mediterraneo”. O per vendere come pescato in Italia tonno congelato e lavorato in est Europa o Asia.
I controlli esistono, ma sono lenti, a campione, e quasi mai in tempo reale. Risultato? L’intera filiera si presta a pratiche elusive, in cui l’origine reale del prodotto è spesso impossibile da verificare. Per il consumatore, ogni acquisto diventa un atto di fede.
Il paradosso è evidente: il settore ittico è uno dei più vulnerabili a frodi alimentari, eppure è tra i meno digitalizzati. In un mondo in cui un click può portare un drone in volo o una transazione bancaria dall’altra parte del pianeta, ancora non possiamo sapere davvero dove è stato pescato il pesce nel nostro piatto.
Eppure, basterebbe poco: dotare le barche, i mercati ittici, gli impianti di lavorazione e i punti vendita di un sistema di registrazione distribuita e immutabile. Un sistema che esiste già. E si chiama blockchain.
La rivoluzione silenziosa della blockchain nella pesca
La blockchain, se applicata correttamente, può mappare ogni singolo passaggio del prodotto ittico: dalla cattura alla lavorazione, dal trasporto alla vendita finale. Ma non solo. Può anche registrare la geolocalizzazione della pesca, il numero identificativo dell’imbarcazione, la temperatura di conservazione, i tempi di trasporto.
In pratica, si può creare un libretto digitale del pesce, un “passaporto” che ne accompagna la vita dalla barca al piatto.
E tutto questo, senza la possibilità di falsificare, cancellare o retrodatare informazioni. Ogni passaggio è scritto in modo permanente. Il consumatore, con un semplice QR code, può leggere la storia vera del prodotto che sta acquistando.
Un esempio concreto di innovazione in questo senso è quello di LutinX.com, piattaforma blockchain attiva in oltre 80 nazioni e già utilizzata da realtà agroalimentari che vogliono trasparenza senza compromessi.
Grazie alla sua tecnologia brevettata, LutinX consente anche ai piccoli pescatori e alle microimprese di accedere a un sistema di tracciabilità certificata a costi contenuti. Niente criptovalute, niente complessità finanziarie: solo blockchain a servizio della filiera, con strumenti semplici e intuitivi.
Non solo. Il sistema integra anche una KYC (Know Your Customer) completa, permettendo di associare ogni dato registrato a un operatore certificato. In questo modo, il pesce non ha solo una provenienza, ma anche una paternità verificabile.
Immagina questo scenario
Un ristoratore italiano vuole offrire solo pesce pescato in mare aperto, zona FAO 37.1.2, nel Mar Ionio. Ogni mattina riceve una cassetta di pescato con un QR code. Lo scansiona e ottiene:
- La barca che ha effettuato la pesca
- La posizione GPS della cattura
- L’orario preciso della battuta
- Le condizioni di temperatura di conservazione
- Il laboratorio in cui è stato pulito e confezionato
- Il trasportatore con i tempi di consegna
Tutto immutabile, tutto trasparente.
Il cliente al tavolo può fare lo stesso. Nessuna truffa. Solo verità.
Nel 2024, secondo dati FAO, oltre il 30% del pesce venduto in Europa ha origine dichiarata dubbia o non verificabile. In Italia, il rischio reputazionale è altissimo, perché il brand “pesce italiano” è associato a qualità, sostenibilità e artigianalità.
Senza tecnologie come la blockchain, questi valori rischiano di diventare solo parole vuote, mentre i grandi distributori internazionali adottano sistemi sempre più avanzati di controllo.
Non è una questione di tecnologia, ma di volontà
La tecnologia per rendere il settore ittico pulito, trasparente e competitivo esiste. E LutinX.com lo dimostra. Il problema, come spesso accade, non è tecnico, ma politico e culturale.
Serve un cambio di paradigma: dalla dichiarazione alla dimostrazione, dalla fiducia cieca alla verifica digitale. Le cooperative dei pescatori, i mercati generali, i consorzi di certificazione devono investire nella trasparenza come asset competitivo, non come obbligo burocratico.
Se vogliamo che il pesce italiano resti sinonimo di eccellenza, dobbiamo accettare una nuova regola: la filiera dev’essere tracciabile, aperta, verificabile da tutti. E questo è possibile solo con strumenti che non si possono manipolare.
La blockchain non è la panacea. Ma è, oggi, l’unica infrastruttura capace di restituire credibilità al settore ittico. E chi inizia ora, avrà un vantaggio enorme nel mercato globale di domani.