Il 26 maggio 2025, la moda italiana ha compiuto un passo storico verso la trasparenza e la legalità con la firma del “Protocollo di Milano”. L’accordo, formalizzato presso la Prefettura di Milano come “Memorandum of Understanding for the Legality of Procurement Contracts in the Fashion Production Supply Chains”, ha unito le principali istituzioni (tra cui la Prefettura e la Procura), le associazioni di categoria (come Confindustria Moda e la Camera Nazionale della Moda Italiana) e i sindacati in un fronte comune per contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento lungo la complessa filiera produttiva. L’iniziativa è vista come la risposta sistemica del Made in Italy agli scandali emersi negli ultimi anni, che hanno messo in luce le fragilità della subfornitura a catena e l’opacità dei controlli.
Il Protocollo di Milano introduce strumenti concreti volti a garantire la trasparenza e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Tra le misure chiave, vi sono la creazione di un database centralizzato dei fornitori, che raccoglierà informazioni dettagliate e verificabili sull’intera catena di subfornitura; l’istituzione di incentivi regionali (come certificati di trasparenza) per le aziende virtuose; e l’implementazione di controlli incrociati più rigorosi su orari di lavoro, salari e standard di sicurezza. L’impegno più significativo è l’esclusione congiunta dalla catena produttiva di qualsiasi azienda o subfornitore che non rispetti integralmente le regole e i diritti dei lavoratori.Questo Memorandum rappresenta un passaggio cruciale per l’industria della moda italiana. Esso sancisce che la competitività del settore non può più basarsi su margini ottenuti attraverso la pressione sui subfornitori, ma deve fondarsi in modo inequivocabile su legalità, qualità e tracciabilità. Il modello del Protocollo di Milano è considerato “replicabile” anche in altri settori del Made in Italy (come il design e l’agroalimentare), rafforzando il valore etico del brand italiano agli occhi dei buyer e dei consumatori globali.





