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Tuesday, July 15, 2025

Romania, vento nuovo da est per una “super Domenica”

NotizieRomania, vento nuovo da est per una "super Domenica"

È un giugno che scotta quello che si prepara in Romania, dove la sfida tra il centrista Nicuşor Dan e l’outsider nazional-populista George Simion è diventata il cuore pulsante della “Super Domenica” europea. Con il ballottaggio decisivo previsto per metà mese, gli occhi di Bruxelles, Berlino e Roma sono puntati su Bucarest.

Non è solo una questione di urne. In gioco c’è l’anima di un Paese: europeista e liberale o sovranista e disincantato? Una Romania giovane, moderna e connessa, oppure una Romania orgogliosamente identitaria e pronta a rimescolare le carte?

George Simion, 37 anni, è stato descritto da gran parte della stampa come un fenomeno da baraccone o un semplice “ex ultrà del calcio”, ma dietro la semplificazione mediatica si nasconde una macchina politica moderna e dirompente. La sua formazione nazionalista, la capacità di sfruttare il linguaggio diretto dei social, la militanza radicata nei territori e il rifiuto della retorica “politicamente corretta” lo hanno reso il catalizzatore di una protesta trasversale, che ha preso di mira corruzione, diseguaglianze e una classe dirigente percepita come distante.

Simion ha vinto il primo turno lo scorso 4 maggio con il 41% dei voti, doppiando il rivale. Oggi, i sondaggi lo danno in recupero di Nicuşor Dan, ma il vantaggio emotivo resta dalla sua parte: Simion ha intercettato la fame di riscatto, la sfiducia nella burocrazia europea, la paura dell’irrilevanza.

Il suo messaggio è chiaro: “i rumeni prima di tutto”, in un’Unione che – secondo lui – parla sempre più tedesco e sempre meno romeno.

Simion non è un nostalgico dell’Est. Tutt’altro. Guarda agli Stati Uniti di Donald Trump come modello di sovranismo moderno e ha ribadito più volte la volontà di restare nel solco NATO. Ma sull’Europa i toni sono cambiati: non rottura, ma ridefinizione degli equilibri. Vicinanza a Orbán in Ungheria, sintonia con Robert Fico in Slovacchia, e una proposta di “Unione dei popoli sovrani” all’interno della UE. È una voce nuova, controversa, ma oggi fortissima nei Balcani e nel centro-est del continente.

Se dovesse vincere, Simion potrebbe rappresentare una vera scossa al sistema europeo, ma anche un’occasione per rimettere sul tavolo alcune contraddizioni: il dualismo tra ovest e est, le priorità strategiche dell’Unione, il destino del sostegno all’Ucraina.

I mercati tremano, certo. Il leu romeno ha perso terreno e le camere di commercio estere lanciano allarmi. Ma dietro lo spettro della “deriva populista” si apre anche una finestra di opportunità: costringere l’Europa a capire meglio l’Est, ad ascoltare, a rinegoziare la sua presenza nei Paesi membri più fragili. Una vittoria di Simion non sarebbe una fuga da Bruxelles, ma una sfida lanciata a Bruxelles.

Simion ha promesso di nominare Călin Georgescu come premier per consolidare un’alleanza parlamentare tattica e accendere i riflettori su una nuova possibile architettura politica: meno tecnocratica, più popolare.

Quello che succede a Bucarest riguarda anche Roma, Madrid, Berlino e Parigi. In un momento in cui le istituzioni europee sono chiamate a rinnovarsi, il caso romeno è il banco di prova della capacità dell’Europa di reggere il dissenso senza criminalizzarlo, e di includere nuove visioni politiche senza demonizzarle.

In fondo, Simion incarna una domanda di rappresentanza che l’Europa non può più ignorare. Una vittoria dell’outsider non sarebbe una sconfitta per l’UE, ma una richiesta di riforma. La storia ci dirà se sarà anche l’inizio di una nuova stagione politica continentale.

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